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BEAU TRAVAIL Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 10 aprile 2001
 
di Claire Denis, con Denis Lavant, Grégoire Colin, Michel Subor (Francia, 2000)
 
Basta l'istante magico di qualche fotogramma per riconoscere il modo di filmare di Claire Denis, Pardo d'Oro a Locarno con NENETTE ET BONI. Incollato alla vita. Alla vita come materia; quella sulla quale si organizza la natura. E della quale sono fatti quegli oggetti, che lo schermo scruta a dismisura. O quei suoni, di un ambiente che si allarga come una piovra all'interno dello spettatore. E, naturalmente, gli uomini, le donne; le giovani africane, i legionari dei quali seguiremo i riti in BEAU TRAVAIL; mentre ballano, respirano, esistono. Di una respirazione che la cinepresa raccoglie a fior di pelle, si direbbe attraverso i pori di quelle pelli. Che si occupi d'immigrati maghrebini a Marsiglia o di umanità multirazziale sperduta in quel Deserto dei Tartari rappresentato dal golfo di Djibuti, il cinema di Claire Denis è esemplarmente antirazzista non tanto per ciò che racconta, a colpi di aneddoti: ma per l'inimitabile sensualità del proprio sguardo. Una sensualità che non soltanto ci dice come ogni individuo sia fatto per accostarsi al suo prossimo; ma che questo processo d'integrazione è il solo a condurlo ad integrarsi, lucidamente e serenamente nell'ordine cosmico, per non dire di quello sociale. Intimità, evasione nella ripetitività del gesto quotidiano. Tentativo estremo (senza mai essere sperimentale o avanguardistico), liberamente ispirato ai poemi di Herman Melville ed al suo romanzo "Billy Bud" (splendido sottofondo della musica di Benjamin Britten), BEAU TRAVAIL non si limita alla descrizione ovviamente monocorde della giornata del legionario perso nel deserto. Se l'immagine sposa la parola, se la cadenza del film si affida alla dimensione poetica del testo letterario è la coreografia di quei corpi immersi in un paesaggio apocalittico a farsi dapprima forma, poi riflessione. Il verismo estremo, raffinatissimo, mai gratuito della fotografia si libera nell'energia, nel piacere dell'osservazione: e sfocia nell'astrazione, in una realtà dilatata nel tempo e divenuta geografia dell'animo, contemplazione, filosofia. La storia, ammesso che ci sia, la presenza di tre adeguatissimi attori (Denis Lavant, Michel Subor, Grégoire Colin) si perde nell'impressionismo della visione? Ma quant'è dolce, come dice il poeta, naufragare in tanto mare!

   Il film in Internet (Google)

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